Uscire dalla crisi: Incarico a Di Maio o Fico, Raggi e Di Battista nel Governo. Lo dicono numeri e fatti

Il problema non è come finirà Conte ma come finirà il Paese. Renzi ha dato il via ad un percorso che farà comodo a tutti. Trattative in corso. Ultima parola a Mattarella

di Guido Talarico

Appuntatevi mentalmente questi nomi: Di Maio, Fico, De Magistris, Raggi, Di Battista. Poi ne parlerò alla fine del pezzo. Intanto partiamo dall’attualità, le dimissioni del Premier Giuseppe Conte. Per capire come finirà questa crisi non abbiamo che due strade: mettere a fuoco i problemi e guardare ai fatti. Contrariamente a quanto molti si chiedono il problema principale non è che fine farà Conte, ma che fine farà il Paese. Se mettessimo veramente gli interessi del Paese al centro delle nostre analisi non potremmo non costatare che l’Italia si trova ad affrontare tante gravi emergenze e che non tutte sono state fin qui affrontate nei modi migliori. La pandemia è stata ed è un problema ciclopico che il Governo ha gestito alla meno peggio nella prima fase, riuscendo su alcune cose, fallendo su altre.

Ora però siamo entrati nella parte cruciale, quella in cui o siamo capaci di debellare definitivamente il virus e siamo in grado di costruire una ripartenza efficace, oppure siamo condannati a diventare un Paese ancor più disastrato e marginale di quando già non lo siamo. Ed in questo senso Matteo Renzi aveva ragione: questo Governo aveva bisogno di cambiare passo. Lo ha detto per mesi ma è rimasto inascoltato. La sua reputazione è così compromessa che se parla tutti automaticamente pensano che abbia un secondo fine. Una perdita di credibilità dovuta alle tante piroette compiute e al fatto che effettivamente spesso ha veramente secondi fini. Tutto questo però non toglie il fatto che l’ex sindaco di Firenze mastica bene la materia e ha una capacità di analisi superiore alla media.

SUL RECOVERY PLAN LAVORO INSUFFICIENTE

Così, fino al ritiro dei ministri di Iv, nessuno ha creduto alle minacce di Renzi. Conte in particolare da mesi ha continuato a vestire i panni del salvatore della patria, come ha fatto, per la verità alquanto bene, nei primi sei mesi dell’anno. Negli ultimi periodi tuttavia ha mostrato una certa aria di sufficienza. Una sicumera alquanto evidente, forse sospinta dai sondaggi che lo davano in brillante ascesa. Tanto per fare un esempio, la sera prima del Consiglio dei Ministri decisivo per il Recovery Plan, Conte ha mandato ai rappresentanti del Governo un documento di poche paginette che, racconta chi l’ha visto, sembrava più la letterina a Babbo Natale che non un documento strategico decisivo per il futuro della nazione. Per non parlare del Mes, della questione dei Servizi Segreti, della Giustizia e via dicendo. Insomma, sono vicende alquanto gravi, ormai note e nel merito difficilmente controvertibili. Difficoltà che testimoniano da un lato gravi insufficienze nel gestire con la dovuta attenzione ed efficacia le emergenze e le attività correnti e dall’altro svelano quanto Conte si sentisse ormai sicuro di sé e della sua straripante forza.

LA STORIA SI RIPETE

Chiunque abbia fatto almeno il liceo sa che la storia si ripete. Conte avrebbe dovuto ricordare meglio il suo ex alleato Salvini ai tempi del Papeete, quando sembrando lanciato nell’iperuranio della politica nazionale staccò la spina al governo giallo verde per andare alle elezioni e capitalizzare il suo presunto valore elettorale e invece finì per esser staccato (da Renzi) dal Governo, perdendo così sia il piccione che la fava. E la storia delle personalità campioni nei sondaggi e trombati alle elezioni è lastricata di nomi eccellenti: Dini e Monti su tutti. Ma la vanità acceca e non fa capire che ad amici e parenti i successi, anche quelli supposti, non sempre fanno piacere. Così Conte non sembra essersi reso conto che la sua crescita e la sua spavalderia ha procurato allarme in primis i suoi alleati, i quali si sono fatti una domanda: se Conte supera questa fase ed entra nel semestre bianco gestirà in autonomia i 220 miliardi del Recovery Plan e diventerà imbattibile sia elettoralmente che come candidato alla Presidenza della Repubblica. Conviene staccare la sua spina ora o combatterlo tra due anni?

Domandate a voi stessi cosa avreste fatto? Lascereste questo signore diventare il padrone d’Italia? Voi che avete cominciato attaccando i manifesti elettorali per strada, fatto comizi, disputato i voti porta a porta, combattuto per decenni nell’impervio e spesso sporco campo della politica, lascereste i frutti del vostro sudato lavoro ad un professore spuntato dal nulla? Anche al fattore “K” c’è un limite, devono aver pensato sia in casa PD che in casa 5Stelle. Ma chi può fare saltare il banco? Certo ci voleva qualcuno fuori dai due partiti principali che accendesse la miccia. Renzi era il guascone perfetto. E’ bastato provocarlo un pochino, ad esempio sul tema della giustizia, per farlo partire. Ora, sia chiaro, non voglio dire che ci fosse una macchinazione contro Conte ordita da mesi. Voglio soltanto dire che PD e M5S dopo essersi fatti due Conti (il primo ed il secondo) al terzo hanno deciso che questa volta era l’occasione giusta per mandarlo a casa.

CHI RESTERA’ COL CERINO IN MANO?

Ora c’è soltanto il problema di chi resterà con il cerino in mano. Posto che tutti sembrano continuare a fare finta di stare con il Premier, bisognerà vedere chi, durante le consultazioni, prenderà il coraggio di proporre al Presidente Mattarella il nome di un nuovo Presidente del Consiglio. Perché non sembrano esistere altre alternative: votare non si può votare, dunque non c’è spazio che per un governo sostenuto dalle stesse forze, inclusa naturalmente Italia Viva e qualche centrista, ma senza il premier uscente. Un aiuto potrebbe venire dal calendario delle consultazioni: al Movimento 5 Stelle spetta l’ultimo incontro (venerdì 29) con Matterella, il quale, sentiti tutti i membri dell’alleanza giallo rossa, potrebbe concludere le consultazioni chiedendo ai Grillini, come forza di maggioranza relativa, di fare loro il nome di un nuovo premier. A quel punto i pentastellati, dopo aver difeso fino all’ultimo Conte, potrebbero indicare un loro candidato premier. Il che li giustificherebbe con la loro base (un ragionamento tipo: “abbiamo combattuto, abbiamo perso il premier tecnico ma alla fine abbiamo messo a Palazzo Chigi uno dei nostri”) e li metterebbe in condizione di giocarsi in primissima persona, cioè senza tecnici, le tre più importanti partite di questi anni 20, vale a dire il Recovery Plan, la nomina del Presidente della Repubblica e le prossime elezioni politiche.

CHI VA E CHI VIENE

E qui, vengo ai nomi che vi segnalavo all’inizio: i candidati premier più accreditati dei 5 Stelle sono Luigi di Maio e Roberto Fico, i due leader con esperienze istituzionali forti. Questo scenario l’ho anticipato già il 14 gennaio scorso, quando tutti inseguivano fiduciosi la pista dei “costruttori”, oggi, visti i fatti e i numeri, lo ritengo a maggior ragione assai probabile. Vi sono anche un paio d’indiscrezioni che siamo riusciti a raccogliere che confermerebbero questa ricostruzione della crisi. Autorevoli fonti torinesi ci avevano detto che l’attuale Sindaco di Torino, Chiara Appendino, stesse trattando per un posto di ministro nel nascente governo. Successivamente, alla notizia della sua condanna in primo grado per i fatti tragici di Torino, è risultato evidente che questa ipotesi per Appendino è ormai impercorribile. La stessa strada invece pare stia tentando di percorrerla l’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, che ha annunciato la sua candidatura a governatore della Calabria ma che sarebbe pronto a rinunciare per una poltrona ministeriale (con successiva candidatura alle politiche). Discorso analogo per Virginia Raggi, che andando al governo libererebbe la piazza di Roma, magari per Carlo Calenda, il quale a sua volta alla prossima tornata elettorale porterebbe la sua “Azione” in area Pd. Infine Alessandro di Battista: questa è l’occasione perfetta per imbarcarlo, silenziarlo e caricarlo a pallettoni per la prossima tornata elettorale. Naturalmente per fare spazio a tutta questa gente occorrerebbe farne fuori altrettanta. Ma questo non è un problema: la lista dei “cattivi” del governo uscente e già pronta. E Conte? Non verrebbe lasciato al suo destino. Come indennità di fine rapporto una soluzione buona per lui ci sarebbe. Avete indovinato cosa gli prometteranno?

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