Washington: il tentato golpe dei sostenitori di Trump indica la fine di un modello e di un’epoca

L’assalto a Capitol Hill è la peggiore pagina della storia della democrazia americana. Sancisce la fine di un modello e di un’epoca

di Guido Talarico

Quello consumatosi a Washington nelle scorse ore è un tentativo di golpe la cui responsabilità morale e politica ricade tutta sulle spalle del presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump. Fatti gravissimi, con feriti e almeno quattro morti, spari e lacrimogeni sulla folla, luoghi istituzionali invasi e profanati. Fatti che scrivono una pagina pessima per la democrazia americana e per tutte le democrazie occidentali. Forse un punto di non ritorno in quel processo di sfiducia generale che già da tempo logora i sistemi di regole che i paesi più sviluppati si sono dati. La costituzione americana, dal dopo guerra in poi, è stata un simbolo di libertà e di progresso, una guida alla quale tutti hanno guardato come modello cui tendere. Quel “We the people”, “noi il popolo”, che giganteggia nel preambolo della Costituzione americana ha ispirato decine di nuove democrazie e guidato centinaia di leader politici in giro per il mondo.

La dichiarazione d’indipendenza americana firmata il 4 luglio del 1776 contiene concetti fondamentali che hanno segnato la storia moderna e contemporanea: “Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità. Che per assicurare questi diritti sono istituiti tra gli uomini i Governi, che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Che quando una qualsiasi Forma di Governo diventa distruttiva di questi fini, è Diritto del popolo di alterarla o di abolirla, e di istituire un nuovo Governo, ponendo il suo fondamento su questi principi e organizzando i suoi poteri in una forma tale che sembri ad esso la più adeguata per garantire la sua sicurezza e la sua felicità”.

Partendo da qui, da queste parole, dal diritto alla felicità e alla difesa, gli Stati Uniti per decenni si sono fatti portavoce e paladini della buona civiltà giuridica, arbitri del bene e del male. Hanno fatto guerre, hanno invaso paesi per “esportare” la loro democrazia. E ora? Beh ora nulla sarà più come prima. Trump passerà alla storia come il presidente che con il suo non riconoscere la vittoria di Joe Biden, con il suo aizzare le folle estremiste, incitandole a scendere in piazza e a stare pronti all’intervento, ha sancito la fine di un’epoca segnata dalla pretesa supremazia della democrazia americana.

Il tweet con il quale Trump ha chiesto alla folla di abbandonare la piazza è di fatto ancora un invito ai golpisti, che continua a chiamare “patrioti”, a stare all’erta e pronti ad un nuovo intervento. Costituisce in altri termini l’ennesima prova dell’atteggiamento eversivo che tutt’ora anima il presidente uscente. Del resto è evidente che lui punta a diventare il riferimento di quella cospicua fetta di estremisti suprematisti bianchi, gente come i Proud Boys o il movimento paramilitare dei Boogaloo o come i complottisti di QAnon, e con loro  continuare la sua vicenda politica post Casa Bianca. Un comportamento irresponsabile più tipico di quei dittatori delle repubbliche della banane che per decenni proprio gli Stati Uniti hanno combattuto e anche governato. E questo riferimento ai dittatori lo ha fatto non un democratico ma l’ex presidente George W. Bush.

Alla fine, comunque Biden giurerà e diventerà Presidente degli Stati Uniti, perché questo, nonostante la presenza di Trump e dei suoi amici suprematisti, è un paese fortemente democratico che nei momenti di difficoltà sa unirsi, lottare e risorgere. E’ nel suo dna, è nella sua storia. Uscirà dunque da questa bolla di follia, cancellerà con la forza le pretese degli insorti e ristabilirà l’ordine ed il rispetto delle leggi. Come del resto ha sempre fatto.

Ma il dado è tratto. Le immagini dell’assalto a Capitol Hill che hanno fatto il giro del mondo non si potranno cancellare, anzi proprio perché arrivano dalla città che porta il nome dei uno dei costituenti più celebri del mondo rimarrà per sempre scolpita nella memoria collettiva globale. Del resto costituzionalisti, analisti e commentatori da ogni parte del globo sostengono da anni che la fine della democrazia occidentale, quindi non solo quella americana, sia ormai arrivata.  Decine di studi spiegano come l’antica forma di governo inventata dai greci, in cui il potere viene esercitato dal popolo, tramite rappresentanti liberamente eletti, ha ormai fatto il suo tempo proprio perché nella realtà troppo spesso la volontà del popolo viene disattesa dal Trump di turno o condizionata dai soldi di lobby e multinazionali.

L’assalto a Capitol Hill è un fatto emblematico che riporta alla memoria una canzone epica dei Doors.  “This is the end”, cantava Jim Morrison facendo convergere in quella lirica crepuscolare sentimenti diversi, dalla istanze contestatrici di Allen  Ginsberg al decadentismo minaccioso di Edgar Allan Poe. Sentimenti diversi ma che andavano tutti nella stessa distruttiva direzione. Non a caso Francis Ford Coppola usò quella canzone in Apocalypse Now, un film che definì meglio di mille saggi l’impatto della Guerra del Vietnam sull’occidente intero. La colonna sonora del brutto film girato a Washington da Trump non potrebbe avere musica diversa. “The end of nights we tried to die… This is the end…”. Gli aberranti comportamenti di Trump hanno forse il solo merito di aver messo la parole fine alla questione “efficacia della democrazia”. Il tentato golpe di Washington dice che è tempo di cambiare. E questo è un monito che vale per tutti.

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