WTO: partita la corsa per la poltrona di Direttore Generale, Amina Mohamed tra i favoriti

di Guido Talarico

Roma – Il WTO (World Trade Oganization) è l’organismo che regola il commercio globale. Si tratta di un ente, istituito dagli americani al termine della seconda guerra mondiale, che con la globalizzazione ha acquisito un peso crescente. Questo valeva però fino all’avvento della Presidenza di Donald Trump e fino allo scoppio della pandemia da Covid-19: due fattori che hanno destabilizzato il WTO tanto che lo scorso maggio, il direttore generale, il brasiliano Roberto Azevedo, che è al suo secondo mandato, ha annunciato che lascerà il suo incarico entro il prossimo agosto, con un anno di anticipo. Una scelta inattesa che certifica l’attuale  stato di disagio dell’organizzazione e che ha subito aperto una campagna elettorale globale contrastata e dagli esiti incerti.

Vediamo dunque di capire cosa accrà nelle prossime settimane, quali sono gli scenari e quali le forze in campo. Il primo problema sono gli Stati Uniti. Trump ha usato il commercio internazionale come strumento di politica interna, del resto lo slogan “America first”  aveva chiarito sin dall’inizio l’orientamento del Presidente.  “Potus” si è così imbarcato in diverse guerre commerciali, fatte di blocchi e aperture decisi in piena autonomia: dal veto a Ttpi (il trattato transatlantico con l’Euroa) fino alla guerra dei dazi con la Cina.  Questo decisionimo autonomo di Trump ha chiaramente destabilizzato l’operatività del WTO e ne ha minato la credibilità. Poi si è aggiunta la pandemia che ha portato tantissimi paesi a rompere una serie di prassi e di accordi firmati sotto l’egida del WTO. Insomma, con la diffusione del virus un po’ tutti si sono mossi in ordine sparso svuotando di fatto il WTO del proprio ruolo e inducendo cosi Azevedo alle dimissioni anticipate.

In questa fase è difficile capire come sarà il futuro. Le anime e gli interessi in gioco sono molteplici, lo scontro tra grandi elettori per eleggere il nuovo direttore si preannunciano intensi. Vediamo dunque quali al momento risultano essere i candidati più accreditati per la successione di Azevedo. Gli Stati Uniti sono molto agguerriti anche perché sostengono che ora sia il loro turno di indicare la leadership. Dopo l’italiano Renato Ruggiero, il Neozelandese Mike Moore, il thailandese Supachai Panitchpakdi e il francese Pascal Lamy pretendono di potersi esprimere.

Per Washington al momento il nome preferito sembrerebbe quello dell’ex ministro del commercio neozelandese Tim Groser. Almeno nei corridoi di che contano della capitale americana questo è il nome che circola di più. Ma questa scelta non sembra riscuotere il favore di tutta la comunità europea, che vede Groser inevitabilmente schiacciato sulle posizioni Usa ed è spaventata da come il Presidente Trump usi il commercio per fini politici ed interessi esclusivamente interni.   Il commissario UE per il commercio, Phil Hogan, potrebbe avere anche il consenso americano qualora dovesse candidarsi, ma appare difficile che lasci l’attuale incarico che, per altro,  lo vede molto impegnato con la Brexit. Qualche indiscrezione ha portato nell’arena dei possibili contendenti di matrice europea anche l’ex Presidente francese Nicolas Sarkozy, ma anche questa appare come alquanto improbabile. Pur ammettendo un sostegno di Trump, in Europa il marito di Carla Bruni non è amato da tutti. E poi la Francia ha già avuto Lamy. Tra i nomi europei, gira anche quello di Arancha Gonzalez, ministro degli Esteri spagnolo. Ha il vantaggio di essere una donna (sarebbe la prima), gode anche di vari sostenitori internazionali, ma si dice anche che Trump non ci pensi proprio a sostenerla.

Un candidato che invece sta crescendo molto è Amina Mohamed: l’ex Ministro degli Esteri del Kenya si era già candidata nel 2013 in competizione con Azevedo. La candidatura ancora non è stata formalizzata ma è noto che molti paesi africani siano già in movimento per sostenerla, benché in lizza vi siano anche un candidato egiziano e uno nigeriamo. Molte sono le frecce nella faretra di Amina: ha un ottimo cv, è donna, è equilibrata, ha capacità di mediazione e con lei sarebbe la prima volta per l’Africa di salire ai vertici di una grande organizzazione internazionale come il WTO. A tutto questo si aggiunge il fatto che la Cina, molto più attiva degli Stati Uniti in Africa, potrebbe essere l’alleato decisivo per portare Amina alla vittoria.  Anche la Russia, entrata nel WTO nel 2012, potrebbe appoggiare la candidatura più neutra ed equilibrata di una donna come Amina Mohamed.

Sul fronte sudamericano il candidato più accreditato appare il messicano Jesus Seade, sottosegretario e negoziatore capo dell’aggiornamento del NAFTA, l’accordo USA-Messico-Canada, che di recente è stato rivisto. Ma questa appare più come una come una candidatura di bandiera. Un modo per il Messico di affermare la propria presenza come attrattore dei voti dell’america latina. In ogni caso c’è da scommettere che a questi nomi se ne aggiungeranno altri nelle prossime settimane. Alcuni cavalli di razza europei o dello stesso Trump potrebbero spuntare a breve. Quello che tuttavia potrà forse fare la differenza, a parte le provenienze geografiche dei candidati, sarà il programma che ciascuno dichiarerà di voler realizzare. Il punto centrale infatti è proprio questo. Il WTO necessita di nuove regole e di nuove visioni. Il commercio globale è radicalmente cambiano negli ultimi lustri a causa della globalizzazione. E’ diventato un fattore decisivo per lo sviluppo e la prosperità dei popoli. Dunque nessuno sarà più disponibile a seguire un’organizzazione che non rappresenti una vera sintesi della posizioni e degli interessi in campo. La sfida per il nuovo direttore è questa. Vincerà chi dimostrerà di avere capacità di progetto superiore e chi risulterà in possesso dell’autorevolezza e dell’autonomia necessari a guidare il WTO nelle prossime decisive sfide.

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