Zelensky, il simbolo della resistenza ucraina agli invasori russi, uomo dell’anno 2022

di Gianni Perrelli

Neanche nella sua sfrenata fantasia di sceneggiatore e comico di talento il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky si sarebbe spinto in gioventù a immaginarsi di dover diventare un eroe nazionale. Nemmeno quando nello show “Servitore del popolo” cominciò a prefigurare una provocatoria ascesa al potere di un anonimo professore per sradicare la corruzione pensava che una traiettoria così ardita potesse realizzarsi. Per i primi tre anni, da 2015 al 2018, nella mente del popolare attore prevaleva solo la vena creativa. Furono i sondaggi in vertiginosa crescita a aprirgli gli occhi, fargli capire che il successo televisivo era tracimato a prescindere dalla sua volontà nel consenso politico. Una profezia che si stava autoavverando.

Con l’agilità mentale che lo ha sempre sospinto Zelensky non esitò a fondare un partito con lo stesso nome dello show. E solo dopo pochi mesi, nel maggio del 2019, si insediò al vertice del potere. Presidente dell’Ucraina a 41 anni: il più giovane nella storia di una repubblica che aveva riconquistato l’indipendenza nel 1991con lo scioglimento dell’Unione Sovietica e il primo con origini ebraiche. Una carriera fulminante spianata da un travaso stupefacente che ha scarsi riscontri anche a livello planetario. Accostabile, ma solo in senso lato, alla nomina a presidente del Consiglio del nostro Giuseppe Conte: giurista sbucato dal nulla, imposto dal compromesso fra due forze populiste che stentavano entrambe a far prevalere una loro leadership, e che il consenso se lo è conquistato a posteriori.

Quando il 24 febbraio scorso Vladimir Putin decise di invadere l’Ucraina, la popolarità di Zelensky non era altrettanto granitica. Le sue mirabolanti promesse di estirpare l’immoralità (perfino con la minaccia dell’ergastolo per gli imbroglioni) erano rimaste perlopiù sulla carta. L’Ucraina rimaneva uno dei paesi più corrotti de mondo. La svolta avvenne per il suo fermo rifiuto di lasciare il paese dopo che era miseramente fallito il primo tentativo dell’esercito russo di espugnare Kiev.

Il presidente americano Joe Biden gli aveva offerto un comodo esilio da dove avrebbe potuto coordinare la resistenza militare senza mettere a repentaglio la vita. Per tutta risposta Zelensky si infilò in una divisa mimetica da cui non è poi mai uscito (neanche per la visita alla Casa Bianca). Si rifugiò per motivi di sicurezza in un bunker della capitale e cominciò a dirigere in prima persona la controffensiva che, con l’aiuto degli occidentali (e segnatamente degli Stati Uniti), ha scompaginato i piani di conquista del Cremlino. Risollevò lo spirito di un paese prostrato dalla distruzione dell’economia, impoverito dalle emigrazioni, terrorizzato dai continui bombardamenti e dalla ferocia scagliata dalle truppe russe contro la popolazione civile. La metamorfosi era pienamente compiuta. Da comico fustigatore dei costumi a eroe nazionale e personaggio dell’anno. Sotto le cui insegne, in un riflesso condizionato di crescente nazionalismo, si è subito schierato anche quel fronte interno di opposizione ancora sbalordito e irritato dal suo straordinario percorso politico.

Ma tutta la sua vita è stata un palcoscenico di effetti speciali. Nasce il  25 gennaio 1978 a  Kryvyj Rih, città di oltre 600 mila abitanti nell’Ucraina meridionale. Il padre è un professore di informatica, la madre un’ingegnera. Entrambi con radici ebraiche. Tre suoi parenti sono morti nella Shoah. Uno dei nonni ha combattuto i tedeschi nell’Armata Rossa, E un bisnonno durante la seconda guerra mondiale è stato ucciso dai nazisti. Paradossale che Putin, nel tentativo di giustificare l’aggressione con l’esigenza di una denazificazione dell’Ucraina, abbia preso di mira proprio uno Stato guidato da chi l’abiezione del nazismo l’ha postumamente vissuta nelle cicatrici di famiglia.

E’ ancora in fasce quando i genitori si trasferiscono per quattro anni in Mongolia, a Erdenet, dove il padre va a dirigere un dipartimento scientifico. In età scolare Zelensky ritorna in Ucraina. In casa si parla russo e non ucraino (che oggi il presidente usa principalmente, alternandolo all’inglese). L’affinità linguistica non ha certo frenato Putin dall’attaccare un leader che fin dall’infanzia aveva forti legami con la Russia

Nel ’95 Zelensky si iscrive alla facoltà di legge nell’Università Economica Nazionale di Kiev. Dove si laurea cinque anni dopo. Ma non eserciterà mai la professione legale. La sua vocazione è il mondo dello spettacolo. Già da studente entra nel centro di produzione teatrale e  cinematografico Kvartal 95. Prima come attore e sceneggiatore. Poi pure come direttore artistico e produttore. Recita in numerosi film e riveste il ruolo di protagonista in un famoso show che riscuote premi nazionali e anche internazionali. Nel 2013 sposa Elena Kiyashko, una giovane architetta e sceneggiatrice che gli darà due figli. Non manifesta, almeno pubblicamente, avversità nei confronti della Russia. Porta frequentemente i suoi spettacoli in tournée nei paesi dell’ex Unione Sovietica.

Dopo la rivoluzione di piazza Maidan e lo scoppio della guerra in Donbass (2014), che svincolerà oltre i due terzi del paese dalla dipendenza russa, non contrasta la svolta ma si oppone alla decisione di Kiev di bandire dall’Ucraina gli artisti della Federazione Russa. In compenso si mostra vicino al governo elargendo con la sua compagnia una grossa cifra per il rafforzamento dell’esercito nazionale.

Il trampolino finale di lancio è il ruolo di protagonista nello sceneggiato “Servitore del popolo”. In cui interpreta la parte del professore di liceo Vasil Petrovich Holoborodko. Un docente esasperato dagli abissi di corruzione in cui è precipitato il paese e che si scaglia contro il malaffare. Filmato nei suoi sfoghi sarcastici da uno studente che rende virali i video sul web. Le sue invettive, sospese a metà strada fra l’indignazione e la battuta di spirito, incrociano il disagio di un’opinione pubblica sempre più insofferente verso l’esplosione di corruttela. Le proposte salvifiche del professore vengono sempre più apprezzate dagli elettori che, pur di liberarsi dei vecchi arnesi della politica e delle misere condizioni di vita, lo innalzano alla presidenza sorvolando sulla sua totale inesperienza nella gestione della cosa pubblica. La finzione diventa realtà. All’inizio sul teleschermo. Poi, fulmineamente, sulla vera scena politica.

Stravince, con oltre il 70 per cento dei voti, il ballottaggio per la presidenza contro l’uscente Petro Poroshenko. Sullo slancio anticipa le elezioni parlamentari e ottiene la maggioranza assoluta che gli consente di nominare un primo ministro fidato. E’ il padre del paese. Chi lo contesta afferma che alle sue spalle ci sono i fondi e i condizionamenti di Igor Kolomoisky, il magnate governatore della regione di Dnipropetrovsk e titolare dell’emittente televisiva 1+1 dove andava in onda lo show della sua fortuna. Ma Zelensky ha sempre negato che ci fossero coinvolgimenti politici o intrecci di affari.

Il suo disegno centrista puntava, come si è detto, l’indice in primo luogo contro la corruzione. Vasto programma, solo in parte realizzato. Lui stesso restò coinvolto in una storia opaca di società offshore. Maggiori successi ha registrato nel progetto di informatizzazione e di apertura ai capitali stranieri. Mentre non gli è riuscito di elevare lo standard di vita degli ucraini  al livello medio dei cittadini europei.

Nei confronti di Mosca si è mosso in principio con i piedi di piombo, cercando accomodamenti. Attraverso lo scambio di prigionieri nello scenario bellico del Donbass. E la concessione di autonomia alle aree di Donetsk e di Lubansk a patto che rimanessero sotto la sovranità ucraina e garantissero libere elezioni sotto il controllo dell’Ocse. Al punto da venire agli esordi quasi sospettato di essere filorusso. Ambigua la sua posizione sui movimenti ucraini di estrema destra che hanno offerto a Putin il pretesto principale per intervenire. Non si è mai pronunciato apertamente su Stefan Bandera, l’ispiratore dei movimenti neonazisti: patriota per alcuni, criminale di guerra per altri. Complicati i rapporti con la Casa Bianca dopo il suo rifiuto di assecondare Donald Trump nell’intento di smascherare i traffici del figlio di Joe Biden in Ucraina.

Ma poi la storia ha preso un’altra piega. La guerra nel Donbass è diventata sempre più cruenta e Zelensky si è visto costretto ad assumere posizioni sempre più rigide verso Mosca. E alla Casa Bianca è arrivato Biden su cui, alla vigilia dell’invasione, Zelensky ha esercitato inascoltate pressioni per un ingresso dell’Ucraina nella Nato.

Dal 24 febbraio, la data dell’aggressione, la storia diventa tragedia. Zelensky sembra sul punto di barcollare. Ma poi ottiene dall’America le armi per difendersi e addirittura passare all’offensiva. La sua oratoria non dà segni di cedimento nonostante il paese si stia riducendo a un ammasso di rovine. Chiede ai paesi amici sempre più armamenti che ritiene gli siano dovuti perché non si batte solo per difendere il suo paese ma anche la democrazia e l’intera civiltà occidentale. Si dice convinto di riuscire a riportare sotto il controllo di Kiev il Donbass e perfino la Crimea. E comunque non è disposto a intavolare negoziati che non contemplino il recupero di tutto il territorio perduto. Deve ribadirlo perché in seguito ai massacri è talmente incontenibile l’odio degli ucraini verso la Russia che se mollasse la presa perderebbe di colpo tutto il consenso.

Più realisticamente, dopo l’incontro a Washington con Biden, ha cominciato a elaborare anche piani di pace. Alle sue condizioni. Che restano diametralmente opposte a quelle di Putin. Uno stallo che durerà probabilmente tutto l’inverno. E che, alla lunga, potrebbe risolversi solo con la divisione del paese sul modello della Corea. Con la Crimea e parte del Donbass controllate per un tempo indefinito dalla Russia mentre l’Ucraina occidentale manterrebbe la sua sovranità e verrebbe  integrata nell’Unione Europea già pronta ad accoglierla. E con l’eroe nazionale che da attore consumato è entrato perfettamente nella nuova parte ed è a sua volta pronto a traghettare l’Ucraina verso le sponde della libertà e della modernità.

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