Angosce contemporanee: Maria Rita Parsi racconta le paure che non fanno rumore

Intervista alla psicologa, saggista e scrittrice italiana,  sui nuovi equilibri tra pandemia e guerra: “Il risultato è un clima di incertezza, di non futuro”

di Annachiara Mottola di Amato

Pandemia, lockdown, mascherine, Dad, coprifuoco, smartworking. Sono queste le parole che in questi due anni hanno dato forma alle nostre vite, invadendo tutti gli spazi, sui giornali, in televisione, nelle nostre case. Da un giorno all’altro adulti, ragazzi, anziani e bambini di tutto il mondo sono stati catapultati in una dimensione sconosciuta con cui hanno dovuto imparare a convivere inventando nuove parole per nuovi equilibri. A due anni di distanza da marzo 2020 sono evidenti le tracce che questi cambiamenti profondi hanno lasciato nelle nostre vite che oggi devono confrontarsi con un’altra minaccia: la guerra russo-ucraina. Nuove paure che si aggiungono a una ferita invisibile ancora aperta e che rompono i fragili equilibri a fatica ricostruiti in questi mesi.

“Il risultato è un clima di incertezza, di non futuro. Le reazioni possono essere varie: comportamenti da disturbo post-traumatico, i disturbi del sonno, dell’alimentazione, diminuisce la capacità empatica di stare in contatto con gli altri, si mettono in moto meccanismi depressivi o comportamenti aggressivi” afferma Maria Rita Parsi, psicologa, saggista e scrittrice italiana, componente dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza.

Quali sono le conseguenze sulla nostra salute mentale di questo stato di emergenza prolungato, prima legato alla pandemia e ora alla guerra russo- ucraina?

Noi siamo passati dalla paura del contagio alla paura della guerra.
L’angoscia è la stessa, quella di morte che è madre di tutte le angosce umane. La differenza è che prima il virus poteva colpire chiunque e quindi tutti ci sentivamo esposti al medesimo rischio mentre adesso l’angoscia di morte è concentrata sulla guerra che ha uno scenario delimitato: l’Ucraina. Ma il clima di destabilizzazione generale porta la gente a pensare ad una possibile guerra mondiale, che può toccare tutti noi, come ha fatto la pandemia.
Questo causa un terribile stress soprattutto sui minori che vedono proprio le figure di riferimento turbate se non disperate. Si possono così scatenare vari tipi di disagi e aumentano le addictions, le varie dipendenze da alcol, droghe e dal mondo virtuale.

I ragazzi, in particolare, hanno risentito della condizione di immobilismo a cui li ha costretti la pandemia. Quali strumenti potrebbero aiutarli ad affrontare questa difficile situazione?

A tutti consiglierei una bellissima poesia di Costantino Kavafis, Itaca, che ci insegna come ogni percorso vada fatto con i tempi adeguati. “Quando ti metterai
in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze”. Ecco, io vorrei suggerire a tutti i ragazzi di pensare che Itaca, l’isola dell’identità, prevede una strada lunga. Quando ci sono emergenze che ci estromettono da esperienze fondamentali, è bene riprendere la vita con tempi che rispecchiano l’elaborazione del lutto di tutto quello che abbiamo perso. Se uno vuole voltare pagina in fretta e dimenticare accade che si ripetono tutti gli errori della storia.

Le perdite da elaborare sembrano però senza fine. Le immagini di violenza e orrore che ci vengono proposte a tutte le ore del giorno, mettono in atto una pornografia del dolore fine a se stessa.

Viviamo tutti in uno stato di spavento perenne ma è bene ricordare che i bambini sono molto più sensibili. Intuiscono tutto, assorbono come spugne. Per questo si dovrebbe vigilare. Se vogliamo aiutare i ragazzini di oggi a comprendere senza spaventarli dobbiamo diventare più competenti, informarci. Dobbiamo trasmettere attraverso le due agenzie educative, scuola e famiglia, che la guerra è qualcosa da rigettare sempre. Infine, dobbiamo aspirare a guardare il mondo in modo nuovo. E a chi mi dice che è un’utopia rispondo come Oscar Wilde: “una mappa del mondo che non prevede il tempo dell’utopia non merita neppure uno sguardo”.

Sembra che la pandemia e la guerra abbiano risvegliato nella psiche di molti il bisogno di una narrazione alternativa degli eventi. Che cosa scatta in questi momenti di paura?

E’ un insieme di cose che determina questa risposta nelle persone. Le notizie vengono date continuamente come bollettini di guerra. Anche durante la pandemia. I morti, i ricoverati hanno creato la paura di ammalarsi e questa paura così grande ha slatentizzato tante altre paure, che stanno già lì, che sonnecchiano, che teniamo a bada quotidianamente e che con la pandemia sono uscite fuori tutte insieme. Per decodificare la realtà, che significa poter agire a seconda delle situazioni in modo adeguato, senza perdere i controllo, la gente deve informarsi e formarsi. Si diano strumenti invece che bollettini di guerra, perché quello è un tipo di

informazione che non ha radici nella competenza delle persone, diventa semplicemente uno stimolo a farle deprimere e a spaventarle.

Tra gli eventi drammatici del nostro tempo la sensazione prevalente è che sia molto difficile ritrovare l’equilibrio che avevamo prima. Da dove possiamo partire per riacquistarlo o per costruirne uno nuovo?

Sarò provocatoria ma spero che non si torni agli equilibri precedenti perché non erano altro che delle coperture a dei disequilibri gravissimi. Il Covid ce lo ha dimostrato, colpendo tutti i settori, la sanità, la scuola, la famiglia, il territorio, la cultura ed evidenziandone gli errori, i vuoti. La guerra in corso con i suoi orrori ci mostra la stessa cosa, che bisogna correggere, cambiare e farlo definitivamente. Spero tanto nella parte bambina di noi. La mente intuitiva, come diceva Albert Einstein, è un dono sacro; la mente razionale è un servo. Ecco noi abbiamo creato una società che esalta il servo, dimenticando il dono sacro; dobbiamo avere il coraggio di agire e cambiare tutto altrimenti non ci sarà futuro.

(Associated Medias)