Nel suo viaggio nella terra natia, l’ex Vicedirettore di Repubblica prova a cambiare la narrazione prevalente, mettendo l’accento sulle cose positive e indicando la politica come principale imputato
di Guido Talarico
Il libro di Giuseppe Smorto “A sud del sud, viaggio dentro la Calabria tra i diavoli e i resistenti” (Zolfo editore) è un percorso dicotomico che, nello spazio di ventuno capitoli, divide la regione in cui è nato il fondatore di Repubblica.it in due parti contrapposte. Parti che alla fine sono il male e il bene. Una lotta atavica che in Calabria è più evidente che in altre regioni perché forse in quella terra tutto è un pò più estremo.
Ma se dopo la lettura si volge lo sguardo al libro nel suo insieme, superando cioè i confini della cronaca che lo caratterizza, quel che emerge è l’amore dell’autore per la terra natia, lo stesso che prende la maggior parte dei figli della diaspora calabrese, quel fiume inesauribile di giovani che da decenni, senza mai fermarsi, parte per i nord del mondo per tentare migliore fortuna o più semplicemente per trovare lavoro. L’amore di Beppe Smorto per la Calabria è quello di Carl Gustav Jung, vale a dire “un concetto estensibile che va dal cielo all’inferno, riunisce in sé il bene e il male, il sublime e l’infinito”. I diavoli e i resistenti di cui appunto l’autore parla nel sottotitolo.
Nelle cronache puntuali, asciutte, documentate, quelle del buon giornalismo per intenderci, che Smorto ci propone emerge così tutto il sublime e l’infinito calabrese. Le eccellenze assolute, i posti meravigliosi, la forza di spirito che però si scontrano quotidianamente essenzialmente con due mafie: quella che spaccia, ruba e spara e quella dei colletti bianchi che gestisce tutta la cosa pubblica.
Per una volta però Smorto prova a sovvertire il “mainstream” della pubblicistica giornalistica dedicata alla Calabria che è quasi sempre caratterizzata dal filone di “nera”. Intendiamoci, l’ex Vicedirettore di La Repubblica parte dagli obbrobri, dai drammi, dalle calamità della sua terra però poi usa queste piaghe per aprire la porta ai resistenti. La mancanza dello Stato, il predominio delle cosche, la burocrazia soffocante sono sempre contrapposti a tutti quei lati positivi della Calabria che esistono ma che stentano ad emergere, a farsi sentire.
È come se l’autore ci volesse ricordare che in questa ultima, isolata regione dello stivale c’è molto di più e di meglio di quel che appare. Il che è anche una critica esplicita verso un certo giornalismo sempre incline al più facile racconto del peggio che non alla valorizzazione del meglio. Un morto ammazzato del resto continua a sfondare in ogni prima pagina, mentre la notizia sul lavoro brillante di una start-up o di una cooperativa sociale è cestinata o relegata nelle pagine interne come si fa con le curiosità. Insomma, la Calabria è raccontata male, dice Smorto. Molti non se ne accorgono neppure, ma è la verità.
Il sublime Gianni Brera, in un pezzo del 1987 dedicato al mezzo fondista calabrese Francesco Panetta (in cui per altro cita proprio Beppe Smorto), con l’ironia che gli era propria e anche con quel pizzico di razzismo d’antan che gli consentiva di parlare del “Katangaro” riferendosi alla squadra del capoluogo di regione vincitrice sul Milan a San Siro, scrisse questa frase latina: “calaber numquam bonus, si bonus non optimus, si optimus, non calaber”. Brera la scrisse con il suo solito spirito e stile da cazzeggiatore colto e certamente non con intenti offensivi. Eppure, il sentimento prevalente nell’opinione pubblica nazionale è rimasto quello, anzi dagli anni 80 ad oggi se possibile il clima è peggiorato. Quando si parla di Calabria c’è sempre diffidenza, sospetto, timore. Intendiamoci, in larga parte è una fama meritata: la Calabria è quasi sempre ultima in ogni classifica che indichi sviluppo o qualità della vita. Ma anche il pregiudizio deve arrivare fino ad un certo punto.
Ecco, la parte più importante di questo lavoro di Smorto è proprio il tentativo di invertire la rotta delle cronache che riguardano la Calabria, di cominciare una narrazione diversa, critica ma attenta alle differenze, pronta a cogliere i miglioramenti, le positività. E, guardate, non è un aspetto marginale. La reputazione è una precondizione del progresso, dello sviluppo, della crescita. Comunicare male un’istituzione, come un territorio o un’azienda, significa minarne l’esistenza, pregiudicarne il futuro.
L’altra parte parimenti importante di “A sud del sud” è la critica che Smorto fa alla politica e più in generale alla classe dirigente che dal dopo guerra ad oggi ha gestito questa regione. L’autore non fa generalizzazioni, non fa di tutte le erbe un fascio. Nei suoi 21 capitoli racconta storie e casi che però hanno sempre sul banco più alto degli imputati politici ed amministratori. Perché questa del resto è la grande verità: il futuro della Calabria e di tante aree del Sud (e non solo) passa attraverso una riconquista della politica. Smorto ci racconta di tanti casi positivi, storie di passioni, di rivincite e di successi. Narrazioni che incitano al ritorno a casa, spingono a bloccare la diaspora. Ma forse la suggestione migliore che rimane è proprio nell’identificazione del bersaglio. Quello giusto è la politica. La rinascita del Sud deve ripartire da qui.
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