Mario Resca (Confimprese): “continuate a investire nel retail, motore fondamentale dell’economia italiana”

In occasione dei 25 anni dalla nascita, il presidente e fondatore dell’organizzazione imprenditoriale impegnata nell’ammodernamento del tessuto produttivo, fa un bilancio sull’attività svolta e proietta lo sguardo sui prossimi obiettivi: “puntiamo  sui settori capaci di sfruttare al meglio le economie di scala per replicare esperienze di successo e portiamo sul mercato domestico investimenti esteri

Mario Resca, Presidente di Confimprese

Mario Resca nel corso di una lunga carriera ha ricoperto il ruolo di amministratore in Eni, Mondadori, Rizzoli, Gianni Versace, L’Oréal.  Prima ancora è stato direttore della Biondi Finanziaria (gruppo Fiat) e partner di Egon Zehnder. Dal 1995 al 2007 è stato presidente e amministratore delegato di McDonald’s Italia. Nel 2002 è stato nominato cavaliere del lavoro. È presidente di Confimprese, presidente di Italia Zuccheri e membro del consiglio di amministrazione del Gruppo Mondadori. Siamo partiti dal Cv perché nel nostro paese è difficile trovare una personalità così eclettica e così brillante, e che, detto per inciso, quando è stato Direttore Generale dell’allora Ministero dei Beni Culturali, è riuscito a dimostrare che anche con la cultura si può produrre ricchezza. Eppure nell’incontrare questo elegante signore ferrarese ciò che più colpisce è l’entusiasmo che guida la sua azione e l’acutezza e dei suoi ragionamenti. Con lui abbiamo discusso, partendo dal presente ma guardando al futuro, di quella che è forse la sua creatura più amata Confimprese.

Quali sono stati i cambiamenti più significativi nel settore del retail in Italia durante la sua presidenza in Confimprese?

Confimprese è nata nel 1999 e quest’anno festeggeremo i nostri primi 25 anni, un traguardo importante che ci ha visto tra le associazioni di categoria maggiormente impegnate nel sostegno al commercio moderno, ma è anche punto di ri-partenza per affrontare le sfide che attendono il nostro settore e l’intero sistema Paese. Sono stati 25 anni di passione e lavoro intenso, spesi e vissuti all’insegna del dialogo con le istituzioni, nella lotta alla burocrazia, nel supporto alla libertà d’impresa, nel valorizzare competenze ed esperienze dei nostri associati.

Il nostro obiettivo è da sempre quello di rappresentare il commercio organizzato, la parte del settore capace di sfruttare al meglio le economie di scala per replicare esperienze di successo, garantire al cliente value for money e innovare per far fronte ai cambiamenti del mercato. Oltre ad agevolare lo sviluppo di reti e marchi made in Italy, così da poter competere sul mercato globale, Confimprese è impegnata anche nell’attrarre sul mercato domestico investimenti esteri; sono molte le catene retail che si rivolgono alla nostra associazione per meglio conoscere potenzialità e criticità del mercato italiano. È indubbio che la vera svolta al commercio è arrivata con l’avvento dell’online, fenomeno certamente ineludibile ma che ha subìto un’accelerazione impensata con la pandemia. Una rivoluzione che ha cambiato I paradigmi del nostro settore e ha costretto le reti di vendita a guardarsi all’interno, selezionare con maggiore accuratezza i propri partner e fornire offerte meglio strutturate a un consumatore più viziato, che sceglie i prodotti e acquista non solo dove c’è un’offerta adeguata per le sue esigenze di portafoglio, ma anche dove trova innovazione. In seconda battuta mi preme anche ricordare la nostra battaglia contro il disegno di legge sulle chiusure festive dei negozi, che è valsa a Confimprese nel 2019 il Premio Antitrust per l’impegno profuso nel tutelare i diritti dei consumatori e la libertà di fare impresa sancita dall’art. 41 della Costituzione, perché il progresso non consente ritorni al passato e le riforme attuate dai Governi Bersani prima e Monti poi non devono essere rimesse in discussione.

Qual è la posizione di Confimprese sulla riapertura del dibattito in Conferenza delle regioni su saldi e liberalizzazioni?

 Si tratta di un fronte caldo, che ci vede impegnati nel condurre una nuova battaglia sulla liberalizzazione del mercato e sulla possibilità o meno di posticipare la data di inizio dei saldi. Con uno sguardo più a lungo termine, le attuali asimmetrie competitive tra negozi fisici e commercio online hanno posto gli associati di Confimprese nella posizione di riflettere sull’opportunità di procedere a una completa liberalizzazione di saldi e vendite promozionali, anche per permettere un migliore adeguamento alle esigenze delle diverse sub-categorie merceologiche. Con un mercato libero avremmo, inoltre, l’ulteriore vantaggio di eliminare la difficoltà di concordare una data unica che vada bene a settori merceologici diversi, per esempio tra chi vende prodotti casalinghi e chi abbigliamento e a diversi sub-settori, per esempio, all’interno del settore dell’abbigliamento, chi vende capispalla ha esigenze diverse da chi vende costumi, se si pensa ai saldi estivi. Resta il fatto che nell’attuale contesto il commercio fisico soffre anche dei numerosi vincoli che mal permettono di competere con il commercio online. Il retail, che ha subìto più degli altri gli effetti della crisi economica e della concorrenza delle piattaforme commerciali digitali, dovrebbe essere rimesso in condizione di competere con l’online per evitare la desertificazione delle città e la perdita di posti di lavoro. Nel documento elaborato dall’AGCM contenente le Proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge Annuale per il Mercato e la Concorrenza anno 2023, in riferimento al commercio al dettaglio si propone, tra le altre cose, di eliminare i vincoli alle vendite promozionali, rendendole possibili anche nei periodi immediatamente precedenti i saldi di fine stagione per i medesimi prodotti e di eliminare i vincoli di periodi e durata alle vendite di fine stagione. Stessa posizione è stata espressa dalla Commissione Europea, che pone l’accento sulle numerose anomalie esistenti nell’attuale ordinamento, come il fatto che i retailer devono far fronte a numerose normative connesse alle loro attività quotidiane su orari di apertura, vendite promozionali, canali di distribuzione e approvvigionamento. O ancora la necessità che le autorità pubbliche degli Stati membri dovrebbero valutare la proporzionalità e l’efficienza delle restrizioni operative, che interessano il retail fisico, per garantire la parità di condizioni con il commercio elettronico. Confimprese condivide entrambe le posizioni e auspica che si possa aprire un tavolo di confronto tra gli operatori al tavolo ministeriale. Riteniamo, infatti, che il problema delle asimmetrie competitive tra player fisici del retail e piattaforme online – che ad oggi non sono soggette ad alcuna limitazione in materia – debba essere affrontato e risolto. L’Italia risulta al 23esimo posto in Europa rispetto alle restrizioni imposte sulle attività commerciali fisiche tra i Paesi con le maggiori restrizioni alle vendite promozionali. In Germania, Spagna e Uk la materia è disciplinata a livello statale e viene considerata come una tematica attinente alla concorrenza sleale.

Come ha influenzato la digitalizzazione il commercio al dettaglio e quali strategie ha adottato Confimprese per adattarsi?

E’ indubbio che la digitalizzazione abbia comportato seri cambiamenti anche nelle abitudini di acquisto dei consumatori. Ma è altrettanto vero che, dal nostro osservatorio particolare sul mondo dei consumi, dopo l’emergenza sanitaria è tornata la voglia di socialità, di acquisto e del consumo fuori casa. Una ricerca Censis per Confimprese certifica che il 70,3% degli italiani pensa che poter comprare le cose che desidera è una parte importante della propria libertà personale, perché sostanzia l’autonomia individuale. Inoltre, l’esistenza di un ampio e variegato settore, che garantisce l’offerta su cui si esercita la libertà di scelta delle persone, è a sua volta pilastro del pluralismo della nostra società. Oggi si assiste al ritorno del punto vendita fisico che soddisfa appieno il desiderio di consumo e, pertanto, come associazione di categoria abbiamo intensificato gli studi di settore per monitorare l’andamento del mercato, per analizzare i programmi di sostenibilità in atto nelle nostre imprese, per stimare i piani di sviluppo della base associativa, che continua ad aprire negozi in tutti i canali di vendita, centri commerciali, high street, prossimità, travel. Un monitoraggio costante dello stato dell’arte di tutti i settori di cui si compone la base associativa – ristorazione, abbigliamento-accessori e altro retail – è tra i key driver di Confimprese per offrire ai retailer spunti di riflessione per supportare il retail in cui operano imprese performanti, capaci di creare valore e occupazione.

Qual è il ruolo di Confimprese nella promozione del made in Italy nel mondo?

L’internazionalizzazione non è solo parte del comparto manifatturiero, ma anche del commercio moderno, che ha le competenze e la vision per espandersi sui mercati esteri. Andare all’estero e aprire punti vendita è un segno di coraggio, salute, innovazione e di affermazione del made in Italy nel mondo, di cui gli stranieri sono affamati. La filiera del valore funziona in tutti i settori di cui siamo portavoce, dalla moda al design al food. Il nostro impegno si è anche concretizzato nella collaborazione dal 2015 con Ice e Confimprese oggi è punto di riferimento per l’internazionalizzazione del retail italiano nel mondo. Quando il made in Italy penetra un mercato estero non viene più abbandonato, perché quando scegli italiano scegli bene. Il made in Italy è uno dei dieci brand più famosi al mondo.

Quali sono le più grandi sfide che sta affrontando come presidente di Confimprese?

Il retail e di conseguenza Confimprese stanno affrontando sfide importanti: l’accelerazione dello sviluppo tecnologico (digitalizzazione, intelligenza artificiale, realtà aumentata) e la crescente customer centricity (social media, attenzione alla sostenibilità, sharing economy) chiedono di ripensare radicalmente il business model, in un contesto economico e geopolitico incerto a livello internazionale, dominato da due guerre, dalle sfide degli Houthi, dal pericolo iraniano, dalle ambiguità di Cina, India e del Sud America. Sono criticità che influiscono sulla stabilità delle economie mondiali e che alla lunga possono determinare cambi di strategia da parte delle aziende. Il retail è chiamato a uno sforzo ulteriore per continuare a sviluppare le reti di vendita nei diversi canali distributivi, attrarre il consumatore in negozio, competere con l’online. Il nostro obiettivo è quello di fare crescere la base associativa, che attualmente è rappresentata da 450 brand commerciali, 90mila punti vendita e 800mila addetti, e al contempo continuare a dialogare con le istituzioni per difendere gli interessi di categoria.

Come vede il futuro del franchising in Italia e quali sono le opportunità e le sfide principali?

Il franchising è da sempre una formula distribuiva che apre in maniera trasversale la strada a un’attività su numerosi settori merceologici e permette l’avvio di un’attività in modo autonomo sotto l’egida del marchio ombrello dell’azienda. E offre maggiori garanzie ai franchisee desiderosi di mettersi in proprio e avviare un’attività imprenditoriale. Negli anni, il franchising ha sempre mostrato una buona tenuta. Anche nel post-Covid ha continuato a funzionare e non ha registrato battute d’arresto. La nostra base associativa si compone per il 50% da insegne in franchising.

In Italia stiamo assistendo a un fenomeno già sviluppato all’estero: la sempre maggiore presenza di franchisee molto grandi, strutturati e finanziariamente forti. Il loro peso nel panorama del nostro Paese sta crescendo rapidamente, anche se va detto che continueranno a esistere anche i piccoli affiliati, il cosiddetto autoimpiego.  Stiamo osservando sempre di più l’affermarsi di soggetti come i multi-unit franchisee, cioè chi ha più negozi dello stesso brand, i multi-unit, multi-brand franchisee, cioè coloro che hanno più punti vendita di diversi brand ma dello stesso settore, e anche i multi-unit e multi-segment franchisee. Sono quelli che gestiscono  una maggiore complessità, avendo più brand di più categorie merceologiche. Spesso sono proprio questi ultimi i soggetti che vengono cercati da marchi stranieri per diventare master per l’Italia, e anche questa è una dinamica che vediamo crescere in maniera sempre più importante in Italia. A dimostrazione dell’attenzione per questi fenomeni, in Confimprese  abbiamo appena accolto tra i nuovi associati di un multi-unit, multi segment franchisee e stiamo per formalizzare l’iscrizione di altri soggetti con caratteristiche simili.

⁠In che modo Confimprese si impegna per sostenere la sostenibilità e l’impatto ambientale nel settore del retail?

Confimprese è da sempre una realtà snella e innovativa. Tra gli argomenti su cui punteremo nel 2024 vi è lo sviluppo di modelli di business sostenibili in linea con il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda Onu 2030, attraverso iniziative e progetti per promuovere la cultura della sostenibilità. Il Comune di Milano ci ha appena concesso il patrocinio per l’iniziativa ‘Siamo aperti al risparmio energetico’, che è parte di un piano di attività volto a sensibilizzare operatori e consumatori sui temi della green economy. La prima edizione di ‘Siamo aperti al risparmio energetico’, lanciata nel 2022 e patrocinata dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, ha raccolto numerose adesioni tra gli associati tra cui Bialetti, Città del Sole, L’Erbolario, La Yogurteria, Miniconf, Natuzzi, Nau!, Takko Fashion, Thun. Anche nel retail, insomma, gli investimenti in sostenibilità non sono più rinviabili, implicano puntare sulla propria competitività per garantirsi l’accesso al credito a condizioni migliori. Un terzo degli italiani ritiene prioritaria la riduzione degli sprechi e il 58,6% indica le aziende come attori importanti insieme a cittadini e Governo per il raggiungimento degli obiettivi Onu.

Quali politiche vorrebbe vedere implementate dal governo italiano per favorire ulteriormente lo sviluppo del commercio al dettaglio?Confimprese è nata nel 1999 per sostenere le istanze del commercio moderno presso le istituzioni preposte e tutti gli stakeholder. In questi 25 anni abbiamo sostenuto con forza, grazie anche all’appoggio dei media e di tutta la stampa nazionale, la lotta alla burocrazia, il supporto alla libertà d’impresa, la valorizzazione delle competenze dei nostri associati, il taglio del cuneo fiscale, la riforma della P.A. centrale e periferica, perchè la burocrazia, unita all’incertezza sui tempi della giustizia, è un grave ostacolo allo sviluppo dell’attività imprenditoriale e allontana gli investimenti esteri. Tuttavia, in questi 25 anni abbiamo visto le nostre istanze solo in parte realizzate. Persino nel PNRR il commercio non viene contemplato a favore solo del comparto manifatturiero. Questo deve fare riflettere sul ruolo del retail, che in Italia rappresenta un fatturato di 445 miliardi di euro, 1 milione 290 mila imprese con circa 3,4 milioni di occupati ed è, dunque, come un serbatoio occupazionale decisivo per il sistema Paese. Alla luce di questi numeri l’Italia non può più attendere: servono decisioni e investimenti.

Quali consigli darebbe agli imprenditori emergenti nel settore del retail?

Un semplice consiglio: continuate a investire nel retail, motore fondamentale dell’economia italiana. E puntate sul consumatore e sulla sua necessità di soddisfare non solo i bisogni primari ma anche quelli superflui. Sono convinto che il consumo sia un lenitivo per le ansie del nostro tempo. E’ uno strumento formidabile di autorealizzazione soggettiva, un’espressione di autonomia e libertà individuale. È un mezzo forte di socialità, di incontro, di relazione che non può e non deve essere sostituito da un click. Le cosiddette piazze, le high street e i centri commerciali sono sempre più luoghi di aggregazione e non solo di consumo. I più nuovi sono dotati di architetture all’avanguardia, materiali di pregio e tecnologie innovative, sempre più integrati con il tessuto urbano, collegati con la metropolitana, con i centri direzionali, con ampi spazi dedicati a esperienze fortemente targettizzate, eventi sempre più instagrammabili, mostre, pop art store, corsi di formazione, attività a tema. Il retailer lungimirante è in grado di intercettare i cambiamenti della nostra società e porli al centro della sua strategia di sviluppo.

Dal suo osservatorio come valuta lo stato di salute economico del nostro Paese?

L’Italia è un grande Paese con un tessuto imprenditoriale fatto dalla piccola e media impresa che sostiene lo sviluppo del comparto manifatturiero e del commercio. Nei primi mesi dell’anno non sono mancati segnali favorevoli come la discesa dell’inflazione inferiore alla media europea e il mercato del lavoro, che registra tassi di disoccupazione importanti.

E’ indubbio che l’Italia possa riprendere il ruolo che le spetta come fondatore dell’Unione Europea, ma mi preoccupano le recenti previsioni del Fmi, che ha tagliato le stime sul Pil italiano con una crescita che si fermerà allo 0,7% contro l’1,1% previsto in precedenza, meglio comunque rispetto a Francia e Germania. E poi c’è l’Europa. Sarebbe miope guardare al futuro dell’Italia senza guardare all’Europa e pensare al futuro dell’Europa senza considerare i cambiamenti dello scenario mondiale. Pensiamo all’ascesa dell’Asia e pensiamo non solo alla crescita della Cina, ma anche a quella dell’India e al ruolo del Giappone: sono i motivi principali per cui il mondo sta diventando multipolare. E’ in questo contesto che dobbiamo chiederci quale sarà il ruolo dell’Europa: è destinata a perdere peso a causa della Brexit, della mancanza di coesione interna e dei movimenti sovranisti o può essere cerniera con l’Oriente? Concordo con Mario Draghi che  ha fatto notare come all’Europa manchi un industrial deal per rispondere alle sfide poste da Cina e Stati Uniti e come non ci sia una strategia per tenere il passo in una corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie.

(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati